sabato 28 dicembre 2013

MEDITAZIONE CAMMINATA


“Mentre cammino la mente vaga, con ogni segnale la mente ritorna, ad ogni respiro il cuore si apre, ad ogni passo tocco la terra”.  Il gatha è una sorta di poesia che può accompagnare la meditazione. Thich Nhat Hanh è autore di bellissime gatha, come questo, con versi essenziali e delicati.  “Mentre cammino la mente vaga, con ogni segnale la mente ritorna, ad ogni respiro il cuore si apre, ad ogni passo tocco la terra”.  E’ un gatha suggestivo e nel contempo lucido del maestro Thich che può accompagnare la meditazione camminata.  Non è importante per me coordinare nel modo più preciso e predeterminato il rapporto tra la camminata e la recita mentale dei versi del Gatha. Preferisco fare qualche passo concentrandomi su un singolo verso per poi passare ad un analogo numero di passi nei quali faccio risuonare nella mente il secondo verso e così via, fin tanto che trovo una mia possibilità di armonizzare i passi con i versi.  Ciò che è straordinario nei contenuti di questo gatha è la possibilità di una sintesi molto efficace e viva di tutto l’approccio meditativo.
“Mentre cammino la mente vaga”: è inevitabile che la mente tenda a disperdersi, non bisogna combattere aspramente con questa tendenza, occorre accettare con pazienza i limiti del nostro cervello e del nostro apparato psichico, puntando piuttosto a riportare con gentilezza l’attenzione sul respiro e sulla camminata con un atteggiamento di non giudizio, di non pretesa e di benevolenza verso noi stessi. Con questo atteggiamento mentale si può allenare molto lentamente, ma più efficacemente la mente alla concentrazione, alla stabilità e alla consapevolezza del momento presente.
“Con ogni segnale la mente ritorna”:  è vero che la nostra mente è strutturalmente limitata ed  ha la tendenza a vagare, è anche vero che la nostra mente merita una grande fiducia: l’attenzione può rendersi conto della disattenzione, la consapevolezza può portare la propria luce sulla non consapevolezza. Pertanto ogni suono può essere utilizzato per renderci conto che tendiamo ad assumere la modalità del pilota automatico  e che è possibile ritornare ad uno stato di presenza mentale: per es. nel corso della meditazione camminata  ad ogni segnale si  può riportare il pensiero sul respiro e sui passi.
“Ad ogni respiro il cuore si apre”. Bellissimo! L’attenzione al momento presente passo dopo passo, respiro dopo respiro genera un’apertura di cuore. Consapevolezza e compassione sono collegate su un piano psicologico e su un piano neurofisiologico attraverso la mediazione della calma!
“Ad ogni passo tocco la terra”. Ad ogni passo posso migliorare il mio senso di pienezza e di contatto con la realtà. La mente può imparare a mantenere con un senso di armonia  l’attenzione al movimento della  camminata. Ad ogni passo possiamo  avvertire un senso di integrazione nell’attenzione ai movimenti  dei piedi, che si muovono coordinandosi con le gambe e che poggiano  in consapevolezza sul terreno: la mente si radica così sulla terra con tutti i significati simbolici che possiamo attribuire alla terra: di sostegno, di maternità, di accoglienza. Sperimentiamo la sensazione forte di avere i piedi per terra:  la nostra mente si può saldare al senso della realtà,  facendo del nostro meglio per  poggiare stabilmente l’attenzione alla camminata.

lunedì 18 novembre 2013

LA CONSAPEVOLEZZA: UN FATTORE FONDAMENTALE DELLA CURA DI SE’



Tre aggettivi o gruppi di aggettivi  possono qualificare la consapevolezza.

1. La consapevolezza ha un aspetto cognitivo: vuole conoscere la realtà così com’è ed è interessata ad acquisire nella maniera più completa i dati del mondo interno e del mondo esterno. Vuole conoscere i particolari senza perdere di vista l’insieme.  La consapevolezza è un modo per conoscere: ci troviamo di fronte a una mente che può conoscere se stessa, che può monitorare ed esplorare se stessa. Dunque la consapevolezza è attenta, lucida, amante della precisione.
2. La consapevolezza vuole ancorarsi alla realtà così com’è e contrasta la tendenza del desiderio a scappare vie dagli aspetti più frustranti della realtà, a sovrapporre il sogno alle cose così come sono e alle cose così come vengono. La consapevolezza è dunque come un vecchio saggio, che invita a non reagire  in modo negativo alle difficoltà del percorso ma incoraggia a proseguire verso una meta. Dunque la consapevolezza è accettante, paziente, umile e nel contempo tenace, lungimirante.
3. La consapevolezza ha una valenza affettiva, se l’esplorazione cognitiva, non viene fatta con amore e benevolenza non trova l’energia per portare avanti la propria funzione e per continuare ad essere precisa ed accettante. E’ paragonabile ad una madre affettuosa che riconosce, accetta, abbraccia, esplora con cura l’oggetto della consapevolezza le emozioni, i pensieri e i processi mentali così come sono.    Dunque la consapevolezza è benevola e compassionevole verso il sé e verso l’altro.

Quando  parliamo di consapevolezza come fattore fondamentale della cura di sé  non dobbiamo pensare ad una funzione  psicologica astratta o una dimensione intellettuale d’interesse etico o filosofico, bensì ad una funzione psichica che una base neurofisiologica nell’essere umano e che può essere oggetto di osservazione scientifica.

E’ stato  dimostrato che l’attivazione della consapevolezza  (per es. attraverso la meditazione basata sulla concentrazione, cioè  sull’attenzione focalizzata su un unico oggetto o sullo stato mentale aperto cioè sull’attenzione non selettiva  rivolta a tutto ciò che avviene o ancora su uno stato mentale di compassione) investono e modificano in tempo reale certe aree cerebrali in misura tanto più intensa e con ripercussioni tanto più salutari sul soggetto sperimentale quanto più risulta prolungato il suo allenamento all’esperienza meditativa. E’ stato dimostrato che l’allenamento alla meditazione di consapevolezza potenzia l’area della corteccia prefrontale sinistra, sede delle emozioni positive e  riduce le aree della corteccia prefrontale destra, collegata alla depressione, al ripiegarsi su se stessi, alla perdita della gioia di vivere.  

Una ricerca di Richard Davidson sui dipendenti in media molto stressati dell’azienda Biotech a Madison ha dimostrato che un allenamento trimestrale a tecniche di meditazione di  consapevolezza è stato sufficiente per aumentare del 20 % la rispondenza positiva al vaccino antiinfluenzale rispetto ad un gruppo di controllo: lo sviluppo della consapevolezza finisce per rinforzare il “sistema immunitario mentale”, la qualcosa “si ripercuote sul sistema immunitario nel corpo”. (1)
Dunque è indiscutibile che ci siano dentro di noi funzioni psichiche benefiche e straordinarie, che hanno una base neurofisiologica e che riconduciamo alla consapevolezza. Ed è altrettanto indiscutibile  che la consapevolezza, l’attenzione, la compassione possano essere oggetto di allenamento e di potenziamento.



(1) J. Wesson Ashford, Neuroplasticity in Alzhaimer’s Disease, “Journal of Neuroscience Research”, 70, 1.11. 2002, p. 402.

mercoledì 6 novembre 2013

UN CUORE MAL GOVERNATO...

Qualunque sia il male che possa
fare un nemico a un nemico
o uno che odia all’odiato
un cuore mal governato
può fare un male
ancora più grande”
Dhammapada, Detti e aforismi del Buddha

Cos’è un cuore mal governato? È un cuore pieno di emozioni, di colori, di vita, di movimento, ma è un cuore non “sentito”, non “riconosciuto”.

Le nostre emozioni nascono dal cuore e nascono dal corpo, non possiamo sceglierle, non possiamo bloccarne la nascita, sono automatiche e immediate. Le emozioni contengono informazioni noi non possiamo far altro che riconoscerle. Se le emozioni emettono un segnale, il riconoscimento o il disconoscimento di esso può esserci di aiuto o può danneggiarci.

Ad esempio l’emozione della Paura è intelligente in quanto ci informa di un pericolo attraverso l’accellerare del battito del cuore e/o l’aumento della pressione sanguigna. Imparare a riconoscere questi segnali aiuta a riconoscere il pericolo o la situazione che viene percepita come pericolosa.
Ma le emozioni possono anche essere dannose se non vengono riconosciute e regolate. Possono determinare un offuscamento della consapevolezza o un sequestro emozionale. Le emozioni non regolate possono diventare impulsi e determinare degli agiti comportamentali connotati in senso negativo e distruttivo. L’intervallo tra lo stimolo che genera l’emozione e l’eventuale reazione è brevissimo, spesso impercettibile e potrebbe sfuggire alla nostra consapevolezza. Attraverso le tecniche di Mindfulness possiamo allenarci a migliorare la velocità tra stimolo e reazione.

Ritornando all’aforisma da cui sono partita, mi sento di dire che prenderci cura del nostro cuore è condizione essenziale e necessaria per prenderci cura degli altri. E degli altri ci prendiamo cura sia nelle nostre professioni ma anche e soprattutto nella nostra vita quotidiana e familiare, dei nostri figli ad esempio.


………….Noi siamo Emozioni..………


Scritto da Desi Speranza

domenica 3 novembre 2013

UN LIBRO CHE HA CAMBIATO IL MIO MODO DI MANGIARE


Dall’introduzione di Thomas Campbell
Pochissime persone sanno davvero che cosa dovrebbero fare per migliorare la loro salute…. Questo non dipende dalla mancanza di ricerca. Le ricerche sono state fatte, di­sponiamo di un'enorme quantità di informazioni sui legami fra alimentazione e sa­lute, ma la vera scienza è stata sepolta sotto un cumulo di informazioni irrilevanti, se non addirittura dannose: la scienza spazzatura, le diete alla moda e la propaganda dell'industria alimentare. (…)
Avete il diritto di sapere che molte delle nozioni comuni che vi sono state trasmesse sul cibo, la salute e la malattia sono sbagliate.
      Per quanto problematiche,  le sostanze chimiche presenti nell'ambiente e nel vostro cibo non sono la causa principale del cancro.
                  I geni che avete ereditato dai vostri genitori non sono il fattore più importante che determina se sarete vittime di una delle dieci principali cause di morte.
      La speranza che la ricerca genetica possa portare a cure farmaceutiche per le ma­lattie ignora le soluzioni più efficaci che possono essere messe in atto oggi.
      Il controllo ossessivo dell'assunzione di una sostanza nutritiva, come ad esempio i carboidrati, i grassi, il colesterolo o gli acidi grassi omega-3, non darà come risul­tato una salute a lungo termine.
      Le vitamine e gli integratori alimentari non vi forniranno una protezione a lungo termine dalle malattie.
      I medicinali e la chirurgia non sono in grado di curare le malattie che uccidono la maggior parte degli americani.
      Probabilmente il vostro medico non sa di che cosa avete bisogno per ottenere il miglior stato di salute possibile.

Quella che propongo non è niente di meno che la ridefinizione della nostra con­cezione di buona alimentazione. I risultati provocatori dei miei quarant’anni di ri­cerca biomedica, comprese le scoperte risultanti da un programma di laboratorio della durata di ventisette anni  dimostrano che una dieta corretta può salvarvi la vita.
A differenza di taluni autori popolari, non vi chiederò di credere a conclusioni basate sulle mie personali osservazioni. Questo libro contiene più di 750 rimandi bibliografici, che sono per la maggior parte fonti primarie di informazione, fra cui cen­tinaia di pubblicazioni scientifiche di altri ricercatori che indicano la via da seguire per ridurre il cancro, le cardiopatie, gli ictus, l'obesità, il diabete, le malattie autoim­muni, l'osteoporosi, il  morbo di Alzheimer, i calcoli renali e la cecità.
Alcune scoperte, pubblicate nelle riviste scientifiche più prestigiose, dimostrano che:
      un cambio di alimentazione può permettere ai pazienti diabetici di sospendere l'assunzione di farmaci;
      una cardiopatia può essere fatta regredire solo con la dieta;
      il cancro al seno è in relazione con i livelli di ormoni femminili nel sangue, a loro volta determinati dal cibo che mangiamo;
      il consumo di latticini può aumentare il rischio di cancro alla prostata;
      gli antiossidanti presenti nella frutta e nella verdura sono collegati a migliori pre­stazioni intellettuali nella vecchiaia;
      è possibile prevenire i calcoli renali con una dieta sana;
      il diabete di tipo 1, una delle malattie più devastanti che possano colpire un bam­bino, presenta evidenti correlazioni con le pratiche di alimentazione infantile.

Queste scoperte dimostrano che una buona dieta è l'arma più potente di cui di­sponiamo contro la malattia. …

Da qualunque punto di vista la si consideri, la salute degli americani sta venendo meno. La nostra spesa pro capite in assistenza sanitaria è di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altra società nel mondo, eppure due terzi degli americani sono sovrappeso, e più di quindici milioni di nostri connazionali soffrono di diabete, una cifra in rapido aumento. Siamo afflitti dalle cardiopatie con la stessa frequenza di trent'anni fa, e la guerra al cancro lanciata negli anni Settanta del Novecento si è rivelata un insuccesso clamoroso. Metà della popolazione americana ha un problema di salute che richiede l'assunzione una volta alla settimana di un farmaco prescritto dal medico, e più di cento milioni di statunitensi hanno il colesterolo alto.
A peggiorare le cose, stiamo conducendo i nostri giovani verso un baratro di malattia, di cui cadono vittime in sempre più tenera età. Un terzo dei bambini di questo paese è sovrappeso o a rischio di diventarlo. I nostri piccoli sono afflitti con sempre maggior frequenza da una forma di diabete che un tempo veniva riscontrata solo negli adulti, e assumono più farmaci con obbligo di ricetta di quanto sia mai successo nel passato.
Tutti questi problemi si riducono a tre fattori: colazione, pranzo e cena.
Più di quarant'anni fa, agli inizi della mia carriera, non avrei mai pensato che il cibo fosse così intimamente collegato ai problemi di salute. Per anni non mi sono doman­dato più di tanto quali fossero gli alimenti migliori da consumare. Mangiavo quello che mangiavano tutti: il cibo che mi era sempre stato presentato come buono. Noi tutti mangiamo le cose che ci piacciono o che ci convengono o quelle che i nostri genitori ci hanno insegnato a preferire. La maggior parte di noi vive all'interno di confini cultura­li che definiscono le nostre preferenze e abitudini in termini di alimentazione.

(…) Ho scelto di iniziare con un approfondito programma di laboratorio che avrebbe analizzato il ruolo dell'alimen­tazione, e soprattutto delle proteine, nello sviluppo del cancro. I miei colleghi e io eravamo cauti nel formulare le nostre ipotesi, rigorosi nella metodologia e pruden­ti nell'interpretazione delle scoperte. Avevo scelto di compiere quella ricerca a un livello scientifico molto basilare, studiando i dettagli biochimici della formazione del cancro. Era importante capire non solo se ma anche come le proteine potessero favorire il cancro. Era la situazione migliore. Seguendo scrupolosamente le regole della buona scienza, avevo la possibilità di studiare un argomento stimolante senza suscitare le classiche reazioni alle idee radicali. Quella ricerca finì per essere ben sov­venzionata per ventisette anni dalle fonti di finanziamento più rinomate e competi­tive, prevalentemente dagli Istituti nazionali di sanità (National institutes of Health, NIH), dall'Associazione americana per la lotta contro i tumori (American Cancer Society) e dall'Istituto americano per la ricerca sul cancro (American Institute for Cancer Research). Poi i nostri risultati furono sottoposti a revisione (una seconda volta) per essere pubblicati su molte fra le migliori riviste scientifiche.

(…) Quello che avevamo scoperto era scioccante: le diete a basso contenuto di protei­ne inibivano la formazione del cancro da parte dell'anatossina, indipendentemente dalla quantità di questo carcinogeno somministrata agli animali. Una volta comple­tata la formazione del cancro, le diete a basso contenuto proteico bloccavano sensi­bilmente anche la successiva crescita del tumore. In altre parole, gli effetti cancerogeni di quella sostanza chimica altamente carcinógena venivano resi irrilevanti da una dieta a basso contenuto proteico. Di fatto, le proteine alimentari si sono rivelate così potenti nei loro effetti da permetterci di attivare e bloccare la crescita del cancro sempli­cemente modificandone il livello di assunzione. …. Ma non è tutto: abbiamo anche scoperto che non tutte le proteine avevano quell'effetto. Quali sono le proteine che favoriscono sempre e in grande misura il cancro? La caseina, che costituisce l'87% delle proteine del latte vaccino, favoriva tutti gli stadi del processo tumorale. Quale tipo di proteina non favoriva il cancro, perfino se assunta in dosi elevate? Le proteine sane erano quelle vegetali, comprese quelle del frumento e della soia. Man mano che si faceva nitido, questo quadro co­minciava a mettere in discussione e a mandare in frantumi alcune delle supposizioni alle quali ero più affezionato.


(…) Ho proseguito dirigendo lo studio più completo su dieta, stile di vita e malattìa mai effettuato sugli esseri umani nella storia della ricerca biomedica. Si è trattato di un’impresa imponente, sotto la gestio­ne congiunta della Cornell University, dell'Università di Oxford e dell'Accademia cinese di medicina preventiva. Il New York Times l'ha definito il "Grand Prix dell'epidemiologia". Questo progetto ha preso in esame un'ampia gamma di malattie e fattori legati all'ali­mentazione e allo stile di vita nella Cina rurale e, più di recente, a Taiwan. Più comune­mente noto come lo "studio Cina" {The China Study), il progetto ha finito per produrre più di 8.000associazioni statisticamente significative fra vari fattori dietetici e le malattie!

Ciò che lo rende particolarmente degno di nota è il fatto che, fra le numerose associazioni relative al rapporto fra dieta e malattia, moltissime giungevano alla me­desima conclusione: i soggetti che si nutrivano prevalentemente di cibi di origine animale erano quelli che si ammalavano delle patologie più croniche. Perfino le as­sunzioni relativamente ridotte di alimenti animali erano associate a effetti sfavore­voli. Le persone che mangiavano le maggiori quantità di cibi vegetali erano le più sane e tendevano a evitare le malattie croniche. Questi risultati non potevano essere ignorati. Dai primi studi sperimentali condotti su animali a proposito degli effetti delle proteine animali a questo imponente studio sui modelli alimentari di soggetti umani, le scoperte si sono dimostrate coerenti. Le implicazioni per la salute a secon­da del consumo di alimenti animali o vegetali erano sostanzialmente diverse.

lunedì 28 ottobre 2013


LA CURA DI SE’ DELL’OPERATORE IMPEGNATO IN COMPITI DI CURA, ASSISTENZA,  EDUCAZIONE DEI BAMBINI


La cura di sé parte dall’individuazione e dal riconoscimento del proprio disagio, che chiede di trovare momenti e spazi dove essere accettato, accolto, condiviso ed elaborato.  In un gruppo di lavoro centrato sulla cura degli altri, sull’impegno di assistenza ed educazione  le fonti di disagio sono raggruppabili in tre tipologie.

1. Disagio da relazione. La relazione professionale sollecita sensi di responsabilità verso i bambini e verso i genitori, che possono risultare logoranti, emozioni i di ansia, di inadeguatezza, di incertezza, di dolore che possono essere fonte di stress. Si tratta di vissuti che non è facile  smaltire stante gli scarsi spazi di confronto e riflessione di cui gli operatori dispongono.

2. Disagio da organizzazione. Il disagio dell’operatore può essere amplificato da problematiche istituzionali e relazionali legate all’organizzazione del lavoro tra figure professionali all’interno della medesima istituzione o nella rete. L’organizzazione del lavoro,  talvolta risulta complessa, deficitaria  e condizionata da scelte istituzionali e sociali  limitanti o carenti dal punto di vista della tutela dei soggetti deboli e dell’investimento sulla relazione di aiuto.

3. Disagio da storia personale. Un’ulteriore causa di malessere per gli operatori e i professionisti che operano su situazioni di grande sofferenza può nascere dal fatto che l’intervento educativo può richiamare alla mente  esperienze personali, nel ruolo di genitore o di figlio/a, vissuti del passato, ancora doloranti in qualche angolo della mente, problematiche psicologiche e relazionali, non pienamente elaborate.

Il corso  può essere strutturato con diversi indirizzi sulla base della costruzione di un clima di comprensione e fiducia reciproca all’interno del gruppo dei  destinatari della formazione , sulla base delle domande e emergenti e  delle richieste espresse dal committente. Il corso  propone una sinergia di diverse metodologie  di cura del Sé professionale e personale. Illustriamo brevemente queste metodologie.


a.    L’intelligenza emotiva è uno strumento per far crescere:
·      l’autoconsapevolezza, ovvero la capacità dell’operatore di riconoscere, rispettare e mettere in parola le emozioni più intense incontrate nell’attività professionale;
·      la capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza entrare in conflitto frontale con essi e senza neppure, tuttavia, farsene travolgere;
·      la capacità di sviluppare l’efficienza mentale e di motivarsi in modo globale (con la razionalità e con l’emotività) al raggiungimento di obiettivi e finalità;
·      la capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici;
·      la capacità di interagire positivamente con le persone, di trattare con efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con gli altri (utenti, colleghi ed altre figure professionali).

b.    La meditazione di consapevolezza, nelle sue molte forme e pratiche sviluppate in 2500 anni di tradizione buddhista, è uno strumento potente per ritrovare la connessione con il centro di noi stessi e con la capacità di mantenere la presenza mentale. Il praticante impara a cogliere e acquietare il movimento disordinato dei pensieri; nel maggiore silenzio interiore può distinguere più chiaramente quella che è la realtà da quelli che sono i suoi abituali schemi percettivi e reattivi, che distorcono la realtà e generano sofferenza.  Dalla meditazione di tradizione buddista sono nate nell’ambito della psicologia occidentale diverse prospettive teoriche e  pratiche che cominciano a diffondersi (a partire dalla Mindfulness Based Stress Reduction (che significa la “Riduzione dello stress basata sulla consapevolezza”).

Le tecniche di meditazione orientali, trasformate in Mindfulness in Occidente, consentono di  allenare la mente ad alcuni principi e ad alcune pratiche che consentono di sviluppare da un lato la concentrazione, l’attenzione, la presenza mentale, dall’altro la capacità di ridurre lo stress, sviluppare il benessere psichico
La meditazione, se chiarita nella sue premesse e finalità ed applicata con continuità, è uno strumento straordinario per prendersi cura di sé in modo globale.  Prendersi pienamente cura di sé significa seguire una prospettiva che non deve risultare   narcisista ed  autocentrata, bensì aperta alla realtà esterna e dunque all’impegno di prendersi cura degli altri.  Prendersi cura di sé significa dunque attivare contemporaneamente la sensibilità verso se stessi e verso gli altri.  

La meditazione può essere un percorso da praticare individualmente o in gruppo per imparare a gestire le emozioni impetuose e i sequestri emozionali, per potenziare l’energia e la lucidità nelle situazioni che richiedono conflittualizzazione e negoziazione e per far prevalere gradualmente l’esperienza di calma e di rilassamento sulle spinte, provenienti dall’attività professionale, che producono un aumento della tensione e all’affanno. Per questo è particolarmente indicata per le professioni di aiuto.

c.    Il lavoro autobiografico punta a promuovere e valorizzare le storie di vita, le condizioni e i processi cognitivi che consentono il racconto di sé attraverso la scrittura in una prospettiva auto- formativa e riflessiva. La pratica narrativa autobiografica permette di ricostruire e ripercorrere le esperienze in un contesto narrativo, vuoi favorendo una memoria legata alla narrazione obiettivante di situazioni passate, vuoi come possibilità soggettiva di rivivere quelle situazioni. Per consentire apprendimenti e cambiamenti il pensiero autobiografico deve stimolare processi autocognitivi che esigono una distanziamento da se stessi cioè la possibilità di dividersi senza perdersi, per potersi guardare.

A queste tre metodologie se ne affiancano delle altre che in qualche misura possono essere integrate in un percorso di cura di sé a seconda dei processi di maturazione di un gruppo di lavoro o di formazione.

d.    Lo psicodramma (termine derivato da psiche = anima/mente e drao = agisco) indica un approccio psicologico che esplora i contenuti mentali attraverso l'azione e la rappresentazione simbolica. La realtà psicologica del soggetto può essere esteriorizzata e meglio compresa attraverso la drammatizzazione delle diversi parti e dei diversi ruoli presenti nella mente e nella vita dell'individuo. È un metodo di sviluppo personale in gruppo e di gruppo che facilita, grazie alla concretizzazione scenica, lo stabilirsi di un intreccio armonico tra le esigenze interne m le richieste della realtà, e porta alla riscoperta ed alla valorizzazione della propria spontaneità e creatività.
Lo psicodramma consente di definire tecniche di rielaborazione dell'infanzia rimossa derivano da un approccio integrato alla psicoterapia del trauma e sono state applicate in ambito terapeutico e, con gli opportuni adeguamenti, in contesto formativo, nell'esperienza del Centro Studi Hansel e Gretel. Queste tecniche mirano a sollecitare l'incontro con il bambino interiore che vuole piangere, che vuole comunicare l’impotenza vissuta, che vuole protestare, che vuole esprimersi: mirano a favorire il confronto con i ruoli, le sofferenze, le istanze trasformative della dimensione infantile che vive nella mente dell'adulto e che continua a rivendicare ascolto, rispetto e considerazione.

e.    Se lo psicodramma consente di dare voce al bambino interiore sofferente, la ludopsicologia   consente di dare espressione al bambino interiore che vuole giocare ed aprirsi agli altri con giocosità e creatività.  Nella ludopsicologia il gioco si presenta in modo molto semplice ed è possibile risperimentare l’entusiasmo del gioco infantile, le sue potenzialità di divertimento  e di sperimentazione di nuove possibilità, di crescita.
La ludopsicologia prende avvio da tecniche pedagogiche, tra le quali la ludopsicologia che è il risultato di una ricerca iniziata vent'anni fa in Uruguay, nel contesto delle dittature militari dell’America Latina, quale strategia di promozione della partecipazione. Si tratta di  una metodologia pedagogica che vuole riscattare la dimensione socio-affettiva, l’importanza della relazione, della soggettività, della corporeità, dell’allegria e del piacere – connesse al gioco - come fonti e riserve inesauribili ed ancora vergini di conoscenza e di espressione di sé con potenzialità di applicazione didattica,  metodologica e sociale.
Nella nostra prospettiva la ludopsicologia  va oltre l’aspetto pedagogico per potenziare gli aspetti di ascolto e cura di  sé, delle parti giocose non spente dell’adulto e gli aspetti di  comprensione,  trasformazione ed elaborazione psicologica dell’individuo e del gruppo,  presenti nel gioco infantile. Si tratta di azionare le capacità del gruppo per mettere in relazione il percorso ludico proposto con le emozioni incontrate, con i significati da scoprire, con gli apprendimenti possibili e con l’elaborazione dei ricordi infantili, con la consapevolezza delle dimensioni soffocate del Sé.
La ludopsicologia è basata non solo sul recupero del gioco infantile, con la sua freschezza e vitalità, ma anche con l’elaborazione psicologica, emotiva e riflessiva, che ne può derivare: in quest’ottica può aiutare molto gli operatori impegnati nell’accudimento e nella cura dei più piccoli ad esprimere se stessi e a prendersi cura di sé.
  
Proponiamo un’integrazione teorica e metodologica in particolare tra i primi  tre approcci: l’intelligenza emotiva, le tecniche di autobiografia, la pratica di meditazione, a partire dall’idea  dell’esistenza di sei principi che accomunano queste tecniche. Anche lo psicodramma, le tecniche di rielaborazione dell’infanzia rimossa e la ludopsicologia  possono essere utilizzate in questa prospettiva integrativa possono essere integrati tenendo conto del percorso di crescita e condivisione di uno specifico gruppo di lavopro o di formazione.   

L’intelligenza emotiva, le tecniche di autobiografia, la pratica di meditazione:

1)    sono forme di cura di sé:

·         con la meditazione ci si prende cura di due funzioni mentali: la concentrazione e la consapevolezza. Attraverso la meditazione il prendersi cura della mente avviene senza operare una scissione rispetto al corpo: ci si prende cura, infatti, della possibilità di rilassarsi nel miglior modo possibile;
·         l’intelligenza emotiva è prendersi cura dell’aspetto più prezioso del sé l’emozione;
·         la cura autobiografica di sé consiste nel recuperare e utilizzare ricordi, saperi, nessi, architetture esistenziali per ri-costruire la propria identità, per scoprire la propria unicità, per dare senso alla propria storia;

2) presuppongono un fermare l’agire:

se non si esce, anche solo  temporaneamente, dalla logica della prestazione, non si troverà mai il tempo per meditare, per riflettere sui sentimenti, per fermarsi a scrivere. Prendere tempo per pensare è la cosa che accomuna i tre approcci;

2)    richiedono concentrazione e disciplina:

nel caso della meditazione proprio la concentrazione è un punto fondamentale dell’attività, è necessario evitare che la mente vaghi tra innumerevoli pensieri e immagini, concentrando, ad esempio, l’attenzione sul respiro, sul corpo. Anche fermarsi su una unica emozione, darle un nome è un lavoro di concentrazione; e la scrittura, è intuitivo, necessita di notevole concentrazione.

4) Necessitano di una guida:

è vero che il soggetto, con il tempo, impara a camminare con le sue gambe, a leggere le proprie emozioni, a far meditazione da solo, a far l’autobiografia da solo, ma queste tre tecniche presuppongono una relazione asimmetrica, una guida, un conduttore, qualcuno che sia più avanti nel cammino e sia in grado di facilitare il processo di crescita e di apprendimento nella specifica disciplina;

5) Inducono il confronto con l’altro:

non c’è solo una relazione asimmetrica maestro-allievo, ma anche una relazione tra pari, con altre persone, in un gruppo dove si può imparare qualcosa mediante la condivisione, la coralità, l’espressione dei vissuti emotivi. È importante sottolineare come il confronto con l’altro presupponga l’empatia. L’empatia è un ingrediente che consente alla relazione tra la guida e l’allievo di non essere autoritaria e aiuta nel rapporto col gruppo a frenare la competizione, la distrazione, il giudizio e a favorire il lavoro;

6) favoriscono l’acquisizione di consapevolezza:

a diversi livelli e con aspetti specifici queste tre metodologie (come anche il metodo analitico) mirano a potenziare quella funzione complessa, misteriosa e straordinaria che è la consapevolezza e possono avere esiti inefficaci o mistificanti quando viene tradita la finalità strategica del potenziamento di tale funzione.